Convento di Altri
I cappuccini in Alatri (FR)
Nel 1566 il comune di Alatri chiamò i cappuccini nel suo territorio, affidando a loro il vecchio e diruto monastero delle monache benedettine sul colle San Pietro. Solo nel 1574 i cappuccini ebbero la possibilità di adattarlo alle loro esigenze.
Nel 1625, p. Michele da Bergamo, l’architetto che in quegli anni diede le linee fondamentali dell’architettura dei conventi dei cappuccini del Lazio, ne ridisegnò la pianta nella caratteristica forma quadrata con il chiostro al centro e la chiesa al lato destro.
Venne chiuso nel 1810 a causa della soppressione napoleonica e venduto all’asta; caduto Napoleone, i frati poterono ritornare al loro convento. Ma nel 1873 il nuovo governo italiano li cacciò di nuovo dal convento e dal terreno e fu tutto di nuovo messo all’asta. Riuscirono a ricomprarlo nel 1882. Nel 1814 destinarono una parte dello stabile a ricovero per i feriti della prima guerra mondiale.
Il passaggio delle truppe durante la seconda guerra mondiale provocò molti danni allo stabile e alle cose. Fu ripetutamente occupato dalle truppe tedesche e ospitò 150 sfollati dalla zona di Cassino.
Il convento ha ospitato gli studenti cappuccini per il corso di filosofia e del Liceo a più riprese fino al 1977. Attualmente è in attesa di un più razionale utilizzo a beneficio della popolazione.
La presenza dei cappuccini nella zona è stata sempre vivace e significativa, specialmente nelle campagne e nei paesi vicini, ma anche nel piano della cultura e delle iniziative di promozione umana e cristiana. E’ ancora viva nella memoria dei non più giovani la forte figura di frate Giustino da Alatri, che con destrezza rude e sbrigativa, alla porta del convento, estraeva i denti di tanti poveri che per questo a lui ricorrevano fiduciosi.
266 cittadini di Alatri sono diventati frati cappuccini, che si sono distinti nei vari campi del sapere, del servizio degli infermi, dell’attività religiosa e missionaria e nel governo dell’Ordine.
Per saperne di più:
Alatri e i Cappuccini, a cura di Mariano d'Alatri e Carlo Carosi, Roma 1978.
Rinaldo Cordovani
Mariano D’Alatri, il biografo di P.Mariano da Torino
A cinque anni dalla pubblicazione del Negotium fidei, un bel volume che raccoglie gli studi del cappuccino P. Mariano da Alatri (Fr), “ricercatore della verità storica”, edito dall’Istituto storico dei Cappuccini in occasione dell’80° compleanno dello studioso, P. Mariano è scomparso il 3 maggio scorso.
Intelligente e studioso fin dai banchi delle elementari di Alatri, dov’era nato il 27 novembre 1920, P. Mariano scoprì la sua vocazione di storico per ubbidienza. All’indomani dell’ordinazione sacerdotale,
che ricevette il 28 novembre 1943, avrebbe infatti studiato volentieri teologia dommatica, ma il Superiore gli impose di iscriversi alla facoltà di storia, in cui si laureò con una tesi su “L’inquisizione
francescana nell’Italia centrale del secolo XIII”. Il lavoro suscitò reazioni contrastanti, oscillando tra la bocciatura, che forse avrebbe compromesso per sempre il suo avvenire di studioso, e le lodi di eminenti medievalisti che prima gli meritarono la pubblicazione dell’impegnativa ricerca, e poi gli aprirono le porte dell’Istituto Storico dell’Ordine, dov’è rimasto 43 anni.
L’inquisitore degli inquisitori
Le ricerche sull’inquisizione lo appassionarono per tutta la vita, tanto che serpeggiano anche in altri argomenti, a lui peraltro molto cari. Per questo gli fu chiesta la collaborazione al Répertoire international des Médiévistes e alla Revue d’histoire ecclésiastique, collaborazione che gli assicurò un posto di prestigio tra gli storici dell’inquisizione medievale. Questo gli consentì pubblicazioni a ritmo serrato sull’inquisizione francescana in Toscana, nel Veneto, nelle Marche e in Umbria, arrivando a notevoli scoperte, come quella relativa al “tribunale della fede” che nel Trecento sconfinava facilmente in campi che poco o nulla avevano a che fare con la fede. “Osò” anche un raffronto abbastanza provocatorio, e in parte paradossale, tra i Fioretti e l’inquisizione, avvertendo come i Fioretti non siano tanto candidi come si pensa, né l’inquisizione sempre diabolica come si sospetta. Fu in quell’occasione che, per evitare facili polemiche, usò per la prima volta lo pseudonimo Vincent Flint. Quando chiuse con l’inquisizione (fu definito l’inquisitore degli inquisitori) si dedicò quasi completamente ad argomenti di carattere francescano, cominciando con l’Ordine della penitenza e l’immagine di san Francesco, colta solo nella sua temperie storica e culturale, “perché – diceva – c’è tanto da cercare per scoprire il suo vero volto e per appurare come i Frati attuarono il suo messaggio”.
Studi storici sul francescanesimo
La ricerca storica su Francesco gli fece incontrare Salimbene da Parma che gli divenne subito congeniale per l’abbondanza dei dati sparsi nella sua Cronica, da cui trasse una particolare visione delle predicazione francescana, del clero alto e basso, di Francesco, della vita quotidiana dei Frati, di s. Chiara e delle clarisse.
L’Istituto Storico capì che la presenza di P. Mariano era una ricchezza e la valorizzò, affidandogli la direzione del settore Monumenta Historica Ordinis, la Presidenza dell’Istituto (durante la quale
promosse con particolare impegno la pubblicazione di studi riguardanti l’intero Ordine francescano nella collana Biblioteca Seraphico- Capuccina), la responsabilità di organizzare convegni sull’Ordine francescano della penitenza in collaborazione con studiosi delle altre famiglie francescane. P. Mariano non deluse le attese e preparò una serie impressionante di scritti.
(Dall’Osservatore Romano del 2 giugno 2007)
Egidio Picucci
Frate Liberato Latini da Alatri
tra gli Indios del Brasile
I Cappuccini arrivarono in Brasile fin dal 1612. Frate Liberato Latini (1799-1872), nativo di Alatri, vi lavorò per 21 anni, sembra dal 1837 al 1858. Più d'una volta fu in prima linea nell'opera di evangelizzazione degli Indios, in circostanze che sanno del romanzesco.
Una volta, essendosi addentrato in una zona remota frequentata dai selvaggi, si vide ad un tratto da questi circondato, denudato e gettato in una fossa di serpenti, perché vi morisse. Ed infatti mancò poco che non venisse meno per il fetore ed il caldo soffocante.
Ma poi i selvaggi, convinti della sua innocenza, lo tirarono fuori, divennero suoi amici, si lasciarono evangelizzare.
La facilità con cui fra Liberato si conquistava la fiducia dei selvaggi, giunse a conoscenza dell'imperatore Don Pedro II che, tramite i superiori della missione, lo incaricò di inoltrarsi in una vasta zona inesplorata situata tra le regioni di Bahia e Minas Gerais. Egli doveva cercare di conquistare alla vita civile e alla fede le orde di nomadi che scorrazzavano per quell'impervio territorio.
Trascorsero tre anni senza che di lui si sapesse più niente e, quando già lo si credeva morto, egli riemerse dalla giungla alla testa di 600 Indios che, accogliendo l'invito ufficiale del governo, venivano ad « aldearsi » ossia a fissare la propria dimora su terre disboscate che sarebbero state loro concesse per formarvi una comunità civile e religiosa. Trecento di essi si fermarono a Peruipe, nella comarca di Caravelas, la cui direzione fu affidata a fra Liberato, che già li aveva conquistati alla fede. Il suo riaffiorar dalla foresta in testa agli Indios fu ricordato su una tela che si conserva nel Museo Francescano di Roma.
(Cf. Alatri e i Cappuccini, a cura di Mariano D’Alatri e Carlo Carosi, Roma 1978, pp. 114-115).
Olio su tela. Roma, Museo Francescano.
Nel bordo inferiore della tela si legge: F. Liberato D’Alatri, laico cappuccino, annunzia la S. Fede a circa 600 selvaggi di Villa di Prado nel Brasile l’anno 1856.
Info: Convento Cappuccini - Alatri 03011 (Fr)
Tel. e fax 0775440076
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