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Convento di Bracciano
I cappuccini a Bracciano (Rm)



Nel 1580 il Duca Paolo Giordano Orsini donò ai frati Cappuccini la cura della Chiesa di S. Lucia con annesso terreno. L’atto fu poi perfezionato con rogito notarile di Nicola Salsa il 12 Maggio 1586, quando i priori di Bracciano sottoscrissero per il vero possesso della Chiesa e terreno annesso di circa sette ettari a favore dei frati Cappuccini. La prima abitazione dei frati fu adattata a ridosso della chiesa sul lato nord-est. Il convento con il piccolo chiostro fu costruito nel 1609, probabilmente su disegno dell’architetto pontificio Fr. Michele da Bergamo, cappuccino. Ed è rimasto sostanzialmente immutato fino ad oggi.

La Chiesa del convento ha il titolo antichissimo di S. Lucia degli agricoltori. Sembra che sia la chiesa più antica di Bracciano. Era l’unico centro di culto della zona. Probabilmente sostituì il culto della dea etrusca Minturna (Cere), protettrice dei campi. Confermerebbero questa ipotesi tracce di antiche strutture murarie al lato nord della chiesa e la tradizionale fiera di santa Lucia (13 dicembre).

La Chiesa antica è stato demolita verso la metà del seicento e ricostruita nella semplicità dello stile cappuccino usufruendo del materiale dell’antico edificio e consacrata il 18 aprile 1700. La pala dell’altare maggiore raffigura la Madonna Immacolata con a destra san Francesco e a sinistra santa Lucia. In una nuvola di angeli sono inseriti santa Giusta e san Donato, le cui reliquie sono state collocate nella pietra sacra dell’altare maggiore. Interessante in questo quadro è il disegno raffigurante il castello Orsini con la torre quadrata demolita verso la fine del seicento. Sarebbe un indizio di data dello stesso dipinto. Vi è sepolto il cardinale Alessandro Orsini (+1626). Nel 1923 ne è stata riesumata la salma. Nella tomba sono ritrovati alcuni oggetti come la corona, il crocifisso pettorale e l’anello cardinalizio.

Come tutti i conventi, ha subito la soppressione napoleonica del 1809-10. La ristrutturazione della chiesa, del convento e del bosco, lasciati in desolante abbandono, avvenne per interessamento di Giovanni Torlonia, allora Duca di Bracciano. Ancora più devastante fu la soppressione del Regno Italico del 1873-75. Il bando di vendita venne vinto dal Cionci, un massone che cercò di eliminare ogni traccia religiosa nel convento, nel bosco e nell’orto. Solo la chiesa non fu toccata, perché rimasta proprietà del demanio. Tutta la struttura conventuale e il terreno adiacente furono ricomprate dalla duchessa Carolina Keufstein Odescalchi, monaca del monastero di Tor de’Specchi e da lei donate ai Cappuccini, che vi ritornarono definitivamente nel 1905.

Durante la seconda guerra mondiale, sia lo stabile che il bosco subirono dei danni rilevanti a causa della presenza delle truppe tedesche che ne avevano fatto luogo di residenza e di raccolta di mezzi corazzati. Il luogo che ne ha risentito più è stata la biblioteca. Oggi, dopo un lavoro minuzioso e paziente, questa biblioteca – che raccoglie circa 80.000 volumi, tra cui un centinaio di cinquecentine - è frequentato da molti studiosi e ricercatori.

I cappuccini a Bracciano, come dovunque sono stati, hanno predicato, assistito poveri e visitato infermi. In questo convento è stato anche San Crispino da Viterbo. Una prima volta passò di qui nel 1697, durante il suo viaggio da Tolfa a Roma. In questa circostanza, durante la cena predisse la morte precoce dell’arciprete di Cerveteri in procinto di essere nominato vescovo. La seconda volta, vi rimase da luglio ad ottobre 1707, per oltre i frati e la gente della città colpiti da un a epidemia di febbre. Fu chiamato il “frate delle castagne” perché nella visita ai malati, dava a ciascuno una castagna del bosco recitando preghiere alla Madonna. Molti guarivano all’istante, altri miglioravano. Si può anche oggi visitare la sua celletta (un sottoscale) e la probabile pianta dalla quale raccoglieva le celebri castagne.

Un frate architetto. Si chiamava frate Felice ed era nato a Bracciano il 22 settembre 1748 da Polidori Alessandro e Cappelletti Rosa, fu battezzato con il nome di Tommaso. Entrò nel noviziato dei cappuccini nel convento di Rieti il 2 novembre 1771 e, secondo l’uso dei cappuccini, cambiò il nome assumendo quello di Fr. Felice da Bracciano. Non divenne sacerdote, sebbene venga ricordato come architetto. Infatti, nel 1801 fu incaricato della ristrutturazione della chiesa santuario Santa Maria della Sughera a Tolfa (Roma), dopo che era stato devastato dalle truppe francesi nell’insurrezione del marzo 1799. Morì a Roma il 18 dicembre 1827.
Nel secolo scorso il convento è stato Centro di animazione missionaria a sostegno di opere di rilievo pianelle isole di Capo Verde sia in Madagascar.

Dall’estate 1988 è sede della La CUCUAS (Comunità un cuore e un’anima sola), che s’ispira all’deale di vita dei primi cristiani che condividevano la fede e avevano tutto in comune, per vivere insieme il senso di fraternità al di là di ogni diversità. In particolare offre ai portatori di handicap la possibilità di superare ogni emarginazione. Dopo varie esperienze in sedi provvisorie, dal 15 Dicembre 1988, ha trovato sede stabile in questo convento. Dal punto di vista legale è iscritto quale Associazione presso la Regione Lazio e il Comune di Bracciano. Dal 10 Dicembre 1999 è iscritta nell’albo delle ONLUS.


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Per saperne di più, e per informazioni

Filippo Piccioni, Il frate delle castagne a Bracciano. Frate Crispino da Viterbo. CUCUAS, Bracciano 1991, 74 pp.
Filippo Piccioni, a cura di Augusto Santocchi, Storia del Convento dei Cappuccini di Bracciano. Roma 2014

Rinaldo Cordovani



Due episodi di San Crispino a Bracciano

San Crispino da Viterbo (1668-1750), il santo frate cappuccino canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1982, in viaggio dalla Tolfa a Roma, passò nel convento dei cappuccini di Bracciano a fine aprile 1697. Vi giunse dopo un viaggio avventuroso, accompagnato da un giovane frate sofferente per le piaghe ai piedi e intimorito dai torrenti in piena. Ci volle l’abilità di Crispino per convincerlo. L’episodio è raccontato dallo stesso protagonista in terza persona. Ecco l’ultima parte del racconto:

"...Dovevamo in quel giorno medesimo arrivare in Bracciano, distante dalla Tolfa diciassette miglia circa. Ma il chierico fra Alessandro, essendo molto gracile di natura, e debole di forze, appena fatte poche miglia di quella strada scoscesa, e sassosa, e piena di gran fango, attese le antecedenti pioggie, che s'avvili d'animo, e gli mancò affatto il vigore. Tanto più che le nuove suole, o sandali datigli allora in quel Capitolo, secondo l'uso della religione, non erano ancora domati, e neppure gli erano stati aggiustati a misura; onde gli avevano piagati malamente, e in più parti, ambidue i piedi, e camminando sopra dolore per miglia, e miglia si era infiacchito di maniera, che sedutosi in terra appena poteva più respirare. S'aggiungeva a questo, cite l'istesso Chierico essendo timido, e pusillanime, s'era maggiormente avvilito, perché gli era entrato in mente una forte apprensione su quei tre pericolosi e gran torrenti d'acque, che s'incontrano per la strada fra la Tolfa, e Bracciano chiamati il primo il Verginese, il secondo la Lenta, e l'ultimo la Bianca, i quali bisognava passare a guazzo, non essendovi allora fabbricati i ponti. Non molti mesi innanzi, la Lenta aveva portati via molti passeggieri, e fra gli altri, due Sacerdoti l'uno di Toffia, e l'altro di Morlupo con tutti i cavalli e pochi anni dopo nell'acque del Verginese s'affogarono i due Padri Gesuiti Schinardi, e Vitelleschi il Seniore, mentre in un Calesse di ventura ne facevano il passaggio, perché quell'acque per le piene o di pioggie, o di nevi disfatte s'ingrossano all'improvviso; onde poi per questa disgrazia vi fabbricarono i ponti.
Fralla stanchezza dunque, e frall'apprensione di dover passare questi tre gran torrenti, erano mancate al Chierico F. Alessandro le forze e l'animo. Tornò indietro F. Crispino, e vistolo così abbattuto, pallido, e come languente, s'accese di un'ardente fraterna carità, e presolo per tutte due le mani, l'alzò da terra, e reggendolo con le due sue mani lo fece girare d'intorno, come scherzando, e gli disse: Coraggio; sperate in Dio, e nella Vergine, e avrete allegro il cuore, e forti i piedi. Per verità fu una cosa, sopra ogni credere, maravigliosa e stupendissima, perché il Chierico in quel punto istesso sentì scorrersi per tutta la Vita un tal vigore, e una tanta allegrezza, che ripigliò ad un tratto il viaggio, con animo e forze tali da non potersi esprimere. Passò come se fussero ruscelli di un palmo d'acqua il Verginese, e i due altri Torrenti, quantunque menassero via per la gran piena grossi tronchi, e sassi: E di più in un'istante gli guarirono tutte le piaghe d'ambidue i piedi, senza restarsene segno, e fece l'altre quattordici miglia frall'acque ed il fango, come se si fosse portato a spasso per una Villa, o Giardino.

(Alessandro da Bassano, Vita del servo di Dio F. Crispino da Viterbo, Venezia 1752, pp. 31-32).

Crispino e il suo giovane amico pernottarono nel Convento. Era ospite, quella sera, anche un dignitario ecclesiastico che aspirava a diventare vescovo. Un frate ebbe la brillante idea di chiedere a Crispino cosa ne pensasse. Il frate viterbese esclamò: “Che vescovo, che vescovo! Paradiso, Paradiso!” e non aggiunse altro. Sta di fatto che qualche giorno dopo l’aspirante vescovo se ne andò in Paradiso davvero.




Frate Crispino da Viterbo


Info: Convento Cappuccini - Bracciano 00062 (Rm)

Per informazioni amministrative email: pr.romana@ofmcap.org
Per informazioni storico culturali email: archivioprc@gmail.com